Mariano Rigillo |
di Giuseppe Giorgio
NAPOLI- Sarà Mariano Rigillo, da questa sera al Teatro Mercadante, il protagonista di “Erano tutti miei figli”, il primo successo teatrale dello scrittore americano Arthur Miller. Presentato con la traduzione di Masolino D’Amico e la regia di Giuseppe Dipasquale e cooprodotto dal Teatro Stabile di Catania con la Doppiaeffe Production s.r.l. Compagnia di Prosa, il lavoro rappresentò la grande svolta nella carriera del drammaturgo ed autore newyorkese. Con Rigillo nel ruolo del magnate Joe Keller, con gli altri interpreti: Anna Teresa Rossini, Filippo Brazzaventre, Annalisa Canfora, Barbara Gallo, Enzo Gambino, Giorgio Musumeci, Ruben Rigillo e Silvia Siravo, ed ancora, con le scene di Antonio Fiorentino, i costumi di Silvia Polidori e le luci di Franco Buzzanca, il dramma che resterà al Mercadante fino a domenica 28 aprile, è imperniato sulla figura dell’imprenditore Keller, il quale durante la seconda guerra mondiale, da poco terminata, non aveva esitato a trarre profitti dalla vendita di pezzi “difettosi” destinati all’aeronautica militare che erano costati la vita a ben 21 piloti. Arrestato per fornitura di materiale non conforme alle norme, l’uomo riesce a scagionarsi dall’accusa scaricando tutta la responsabilità sul suo socio. Intanto, mentre la sua famiglia fa i conti con il dramma della scomparsa in guerra di un figlio mai ritrovato, sarà la giovane fidanzata del ragazzo – figlia del socio finito in galera – della quale si è innamorato anche il fratello che la vuole sposare, a fare emergere le contraddizioni nella vicenda ed a svelare le verità subdolamente celate dal cinico industriale. Evidenziando le piaghe della società americana del secondo dopoguerra, Arthur Miller spezza gli ideali della famiglia, del successo e del denaro: il suo Joe Keller rappresenta un pericolo per la società non per ciò che ha commesso ma perchè rifiuta di ammettere la sua responsabilità civile convinto che una discreta dose di illegalità sia necessaria.
Qual è secondo lei il segreto di testi come “Erano tutti miei figli” capaci di rimanere sempre attuali?
“Il segreto -risponde l’attore Mariano Rigillo- sta nella forza di assurgere alla classicità del teatro, nella capacità di fare leggere e riconoscere il teatro con precisione. Il dramma di Miller è stupefacente, in due anni di lavoro, l’autore è riuscito a mettere sulla carta uno dei più grandi classici del ’900 dove tornano tutti i conti. Puntando su di un argomento che non potrà mai essere non attuale come l’industria bellica, proprio come nella tragedia greca, il testo, osservando l’ingordigia umana, propone dei principi sempre validi nel tempo”.
Partendo dagli insegnamenti di Orazio Costa, lei poi ha attraversato i sentieri di autori come Peppino Patroni Griffi, Elvio Porta, Aristofane, Viviani, Shakespeare, Brecht, Petito e Pirandello, fino ad arrivare nel nostro presente a Miller. C’è un filo che collega le tappe di questo suo percorso artistico?
“ Il filo del mio concetto secondo cui l’attore non deve rappresentare se stesso ma una serie di maschere vivendo il teatro come un grande gioco. Ecco perchè, secondo me, a differenza dell’Italia dove si usa il termine recitare, in Francia ad esempio si dice Jouer ed in Inghilterra To Play intendendo il verbo giocare. Il teatro all’attore, serve per migliorare e conoscere se stesso mentre per il pubblico deve essere uno strumento capace di migliorare culturalmente la società”.
Prima, ai tempi degli sceneggiati di Anton Giulio Majano, per fare la televisione occorreva necessariamente essere dei bravi attori di teatro; oggi sembra sia necessario esattamente il contrario, ossia, se non si è fatto almeno una fiction non si potrà mai fare teatro con successo. Lei che si divide pregevolmente tra la Tv ed il palcoscenico come osserva questo fenomeno?
“Si tratta di un fenomeno che mi lascia stupefatto e mi riempie di amarezza. Purtroppo, senza fare nomi, ci sono cose evidenti sui nostri palcoscenici. Non è possibile che certe persone abbiano la velleità di fare gli attori arrecando danno a quella gente che dal teatro dovrebbe trarre unicamente beneficio e miglioramento personale. Occorrerebbero dei guardiani culturali in grado di porre un freno alla situazione. L’attore, è come un calciatore. Deve imparare i fondamentali e chi proviene dalle fiction non può certo conoscerli visto che gli stessi si apprendono o nelle scuole di teatro o sui palcoscenici”.
Da più parte si parla di crisi e di morte del teatro, lei cosa pensa al proposito?
“Oggi è più facile parlare di crisi del teatro perché la stessa si lega a quella economica generale. E’da quando faccio teatro che sento parlare di crisi ma oggi, c’è un nemico che ha contaminato e guastato tutto, compreso il pubblico, ossia l’incapacità di riconoscere i valori del teatro come luogo di crescita collettiva e di aggregazione, cosa che oggi sembra verificarsi solo dinanzi alla Tv. La vera crisi del teatro sta nella perdita della connotazione di un luogo vero dove l’uomo deve vedersela e comunicare con un altro uomo che può dire stop e non con una macchina, una pellicola oppure un video. Finchè il teatro non tornerà ad essere considerato come un luogo di idee e pensiero o come una Agorà dove esporre un argomento sarà sempre in crisi”.
Tornando ad “Erano tutti miei figli”, visto che il comportamento del protagonista della storia oggi potrebbe pure sembrare normale, come sarà secondo lei l’impatto di questo lavoro sulla mente del pubblico?
“ Un impatto ricco di emozioni grazie al quale una volta condannato il protagonista si potrà formulare un atto di accusa contro quella società che accetta di convivere, ancora oggi, con certi personaggi. Nel lavoro, vi è una sorta di catarsi finale che non può non impressionare il pubblico. Ecco perché, in grande sintonia con la regia di Giuseppe Dipasquale, in scena proverò a condurre il pubblico, proprio come nella tragedia greca verso la purificazione dell’individuo”.
Articolo pubblicato sul quotidiano Roma del 17 aprile 2013
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