di
Giuseppe Giorgio
NAPOLI-
Al primo debutto di “Circo Equestre
Sgueglia” avvenuto al Teatro Bellini di Napoli il 29 novembre del 1922,
l’importante prima fu annunciata su “Il Giorno”
con queste roboanti parole: “Alle ore 21.15 andrà, finalmente in iscena
stasera la nuova commedia in tre atti, prosa e musica di Raffaele Viviani
‘Circo Equestre Sgueglia’. Il Viviani vi sosterrà la parte del protagonista che è il clown don
Samuele. Lo spettacolo sfarzosamente allestito e brillantemente eseguito sotto
l’abile sua concertazione e direzione è destinato al più clamoroso successo. Il
teatro sarà rigurgitante!” Ed è forse, proprio sulla spinta dell’entusiasmo di
questo antico lancio pubblicitario, che per il ritorno in teatro della commedia
presentata al San Ferdinando per il “Napoli Teatro Festival” si sono scelti
ancora una volta i clamori delle grandi occasioni insieme all’altisonante
definizione di “prima mondiale”. Fortuna meritata, quindi, per una commedia che
sia pure già alla prima rappresentazione divise il pubblico e la critica per la
scelta dell’autore di allontanarsi dal suo consueto repertorio pittoresco e
tipicamente napoletano, oggi sembra ritrovare, in barba alla stessa “vivianea”
voglia di “Campanilismo” espressa nella celebre ed omonima poesia, in un
argentino come lo straordinario Alfredo Arias, un regista capace di esaltare,
senza timore alcuno, il grande intreccio del primo lavoro di Viviani in tre
atti volutamente in bilico tra il dramma
umano e la metafisica ironia. Con Massimiliano Gallo che nei panni del clown Samuele, gli stessi
che furono di Viviani, offre unendo arte e mestiere una prova davvero esaltante
riuscendo persino a raggiungere quegli stilemi tanto cari a Fellini ed a
cesellare le forme d’una creatura di ingenua purezza che lotta invano contro le
malvagità del mondo ed ancora, con Monica Nappo che nelle vesti di Zenobia , le
stesse che appartennero a Luisella Viviani, offre un corpo ed un’anima alla
drammatica figura di una donna vittima designata del suo smisurato e non
ricambiato amore per Roberto il marito cavallerizzo, tutto il lavoro, al di là
delle flebili prese di posizione degli irriducibili nostalgici delle macchiette,
del Varietà, del buffo “Fifì Rino”, di Mimì di Montemurro e del “Guappo
nnammurato”, riesce, occupandosi di quegli aspetti più autentici e fondamentali
della realtà, ad esprimere una rara forza espressiva fatta di personaggi veri e
drammi originali. Dal suo amore per il circo
e dal personale legame interiore con il mondo così bene descritto da Viviani,
il regista Arias, proprio come un prestidigitatore, tira fuori dal suo cilindro
le emozioni di coloro che, come i personaggi del circo di don Ciccio Sgueglia,
ovvero come i componenti di una famiglia provvisoria di cui ognuno è nemico
dell’altro, nascondono le lacrime dietro le risate e la fragilità di una vita
ingrata dietro la speranza di un domani migliore. Esaltando le capacità di Viviani e ponendo
l’accento su quegli stessi suoi personaggi capaci addirittura di confondersi con
i moderni tipi di beckettiana essenza, eternamente in attesa di qualcosa che
intervenga a cambiare il mondo ed in lotta con una vita senza senso preda
dell’incomunicabilità, Arias, sembra riscoprire, come si legge nelle sue stesse
note, “la meccanica delle lacrime” e “l’arte di far piangere”. Così, assistendo
dall’esterno alle vicissitudini umane dei protagonisti del circo Sgueglia, intrise di tradimenti, passioni morbose,
vizi, invidie e malefatte e solo
intravedendo lo spettacolo vero e proprio sempre seminascosto dal tendone
montato su di una metaforica Piazza Mercato ed i cui numeri si possono soltanto
intuire attraverso le musiche introduttive, la messinscena firmata Arias, utilizzando
una sorta di cantastorie in frac, interpretato da Mauro Gioia che tra canzoni
come “Cuncettì…Cuncettì”, “Tarantella Segreta” e “’O guappo nnamurato”,
descrive l’evolversi della vicenda, conduce tutti all’intimistico epilogo.
Ovvero, a quando, un anno dopo, incontrandosi in Piazza del Carmine, già
scenario di famosi supplizi, i veri protagonisti di tutta la storia, Samuele e
Zenobia, come accidentati clown smarriti
e feriti che si ritrovano su di una strada che potrebbe essere anche quella della
redenzione, cantano insieme agli altri sventurati compagni circensi apparsi solo
come fantasmi di un passato ingrato, “Canzone ’e sott’’o carcere”. Con gli
altri interpreti, Francesco Di Leva, Tonino Taiuti, Gennaro Di Biase “en
travesti” nei panni di “Bettina”, Giovanna Giuliani, Carmine Borrino, Autilia
Ranieri, Lorena Cacciatore e Marco Palumbo che agiscono alla perfezione sulle
istruzioni di Arias, con le musiche dal vivo arrangiate da Pasquale Catalano,
le coreografie di Luigi Neri, le scene di
Sergio Tramonti ed i costumi di Maurizio Millenotti, il “Circo Equestre
Sgueglia” convince con la testimonianza di tutti coloro che a fine spettacolo
applaudono lungamente acclamando a viva voce attori e regista.
Articolo pubblicato sul quotidiano Roma di domenica 23 giugno 2013
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