di Giuseppe Giorgio
NAPOLI- “Offrire più spazio allo spettacolo di tradizione, evitando di privilegiare unicamente la ricerca sperimentale, per non perdere di vista le identità e le radici culturali che fanno del teatro una delle più grandi espressioni del popolo napoletano”. Ad affermarlo è Ciro Capano, il popolare attore e cantante che sabato, nel contesto del Teatro Festival Italia, presenterà all’Augusteo il suo lavoro “M’arricordo”. Diviso tra prosa e musica, per la regia di Raffaele Esposito, con il contributo, oltre che dell’orchestra diretta da Tonino Esposito e del balletto con le coreografie di Margherita Veneruso, di artisti come Mario Aterrano, Peppe Mastrocinque, Ciro Limatola, Salvatore Misticone e Stefania Di Nardo, “M’arricordo” vedrà Capano ripercorrere le tappe salienti della sua carriera. Partendo dal tempio della sceneggiata moderna, il “teatro
“Con questo spettacolo- ha affermato Capano- intendo far rivivere i miei oltre trent’anni di teatro incontrando virtualmente coloro che hanno contribuito alla mia crescita artistica”.
Di chi parla in particolare?
“Oltre dell’indimenticabile Luisa Conte e dei fratelli Taranto, conosciuti al Sannazaro dove ho lavorato con ‘Spusalizio’ e “Festa di Montevergine”, parlo di personaggi come Riccardo Pazzaglia che mi osservò tra gli interpreti della sua commedia musicale “Partenopeo in esilio” ed ancora, di Roberto De Simone, Mariano Rigillo, Silvio Orlando, Mario Martone e Marisa Laurito insieme alla quale ho partecipato al musical cult “Novecento Napoletano”.
Cosa pensa dell’attuale situazione teatrale ed artistica napoletana?
“Ultimamente, si fa sempre più a meno della cosiddetta gavetta ed ecco che il teatro vero, in mano ai cabarettisti ed ai personaggi televisivi di successo, finisce inevitabilmente per soccombere. Una volta c’erano i grandi capiscuola, oggi del tutto inesistenti. Di conseguenza, spesso, in scena si osservano degli interpreti che, privi di ogni riferimento artistico e di quella cognizione che si chiama ‘tempo teatrale’, finiscono con il non sapersi neanche muovere”.
Lei è stato definito come l’ultimo vero cantante di giacca. In che modo accoglie quest’affermazione?
“Con orgoglio e soddisfazione. Un cantante di giacca deve innanzitutto recitare e rispettare una serie infinita d’intonazioni. Per esserlo occorre sentirsi oltre che chansonnier soprattutto attore. Attualmente sono in molti a proporsi come cantanti di giacca ma perlopiù si tratta di persone che, dimenticando i fondamentali canoni del genere, tentano di imitare anche in modo opinabile il compianto Mario Merola”.
“Lei la sceneggiata l’ha nel cuore. Ricordando il suo debutto con Beniamino Maggio cosa si sentirebbe di dire oggi al proposito?
“Vorrei tanto che
Concludendo per “M’arricordo” all’Augusteo cosa si aspetta dal pubblico?
“Mi auguro che lo stesso, dimenticando per una sera le invasioni teatrali dei volti noti televisivi e dei cabarettisti travestiti da attori, possa ancora una volta applaudire il teatro vero fatto con la gavetta, il sacrificio e la passione”.
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