di Giuseppe Giorgio
NAPOLI - Una Giovanna D’Arco senza tempo, quella proposta da Delia Morea, nella scrittura dei suoi due atti unici intitolati “Io e Giovanna”. Una pulzella, quella immaginata dall’ autrice teatrale, e presentata nei giorni scorsi in anteprima alla Sala Ferrari, che, pur restando storicamente vittima della violenza politica e del potere, diventando simbolo della diversità e della libertà negata, si delinea in maniera nuova ed originale attraverso le fantastiche narrazioni di una vivandiera ma meglio sarebbe dire prostituta, di nome Anna, al seguito dell’esercito di Carlo VII Delfino di Francia e futuro re. Capace di mettere in risalto un’immagine d’eroina testarda e guerriera che segue le voci celestiali dell’Arcangelo Michele, di Santa Margherita e Santa Caterina e che si fa avanti solo attraverso le parole del personaggio di Anna, immaginariamente a colloquio con il Monsignore a capo del tribunale d’inquisizione responsabile della terribile condanna al rogo, Delia Morea, che si affida dapprima all’erudita introduzione della storica del teatro, Antonia Lezza e poi alla lettura drammaturgica di Lalla Esposito e Roberto Azzurro, misticamente calati nei panni dei due personaggi sulle musiche di Paolo Coletta, riesce a mantenere vivo tutto il contrasto di valutazione circa la breve vicenda terrena che portò Giovanna, da umile contadinella, al ruolo di salvatrice della Francia, sino alla gloria dei Santi. Viaggiando a ritroso nel tempo e pensando agli autori che si sono occupati dell’eroico personaggio nelle loro opere ritroviamo nell’ Enrico VI di Shakespeare la casta eroina cristiana che si trasforma in una pazza dedita all’esaltazione di se stessa. Ancora, per Voltaire, possiamo scorgere una pulzella d’Orleans, svuotata e privata d’ogni alone mistico che diventa pretesto per un discorso ironico nel quale la Santa viene ridotta a proporzioni femminili ed umane. Nella tragedia di Schiller, Giovanna nuovamente vittoriosa, è ricondotta in un clima eroico ridiventando espressione di libertà umana. Su questa linea si mantiene ancora la Giovanna D’Arco di Charles Péguy, mentre, con occhio più partecipe, la volle osservare G.B. Shaw che descrive la pulzella come una donna fragile ed ingenua, casta ed indifesa, vittima e martire di cortigianeschi intrighi ai quali altro non ha da opporre che la sua semplicità. Martirio, fede e desiderio di libertà da ottenersi con qualsiasi mezzo, a parte, giungendo, dunque, alla Giovanna immaginata da Delia Morea, il personaggio che diventa vittima designata dell’istintiva e umana sete di libertà è descritto in maniera indiretta e singolare grazie alla figura di una donna di nome Anna che, avvinta dal peccato per puro istinto di sopravvivenza, nel condurre verso la seduzione carnale lo stesso inquisitore interlocutore, finisce col raggiungere la redenzione nel tentativo di emulare le gesta di quella stessa guerriera e Santa che fino a qualche tempo prima voleva morta. Nel raccontare le sue vicende di giovane scacciata dalla famiglia, le sue paure e fragilità e nel descrivere le gesta e le contemplazioni divine della Santa, Anna porta lo scompiglio nella mente dell’inquisitore che nulla può, tuttavia, per evitare a Giovanna il supplizio del fuoco. Superando per il modo singolare di sfiorare la vita di Giovanna d’Arco le perplessità che hanno da sempre accompagnato sia le vicende dell’eroina sia le sue rappresentazioni teatrali e cinematografiche ed ancora, infondendo ai personaggi della vivandiera Anna e dell’inquisitore dei tratti moderni ed al tempo stesso rigorosi verso la storia, si potrebbe addirittura affermare che proprio come Anouilh con l’Allodola e Brecht con Giovanna dei Macelli, anche la Morea, nel proporre la personale visione dell’eroina riprende magnificamente il quadro della tragedia, restaurando saggiamente i logori i fili di una vicenda pericolosamente in bilico sull’antico contrasto tra purezza e corruzione, umanità ed egoismo.
NAPOLI - Una Giovanna D’Arco senza tempo, quella proposta da Delia Morea, nella scrittura dei suoi due atti unici intitolati “Io e Giovanna”. Una pulzella, quella immaginata dall’ autrice teatrale, e presentata nei giorni scorsi in anteprima alla Sala Ferrari, che, pur restando storicamente vittima della violenza politica e del potere, diventando simbolo della diversità e della libertà negata, si delinea in maniera nuova ed originale attraverso le fantastiche narrazioni di una vivandiera ma meglio sarebbe dire prostituta, di nome Anna, al seguito dell’esercito di Carlo VII Delfino di Francia e futuro re. Capace di mettere in risalto un’immagine d’eroina testarda e guerriera che segue le voci celestiali dell’Arcangelo Michele, di Santa Margherita e Santa Caterina e che si fa avanti solo attraverso le parole del personaggio di Anna, immaginariamente a colloquio con il Monsignore a capo del tribunale d’inquisizione responsabile della terribile condanna al rogo, Delia Morea, che si affida dapprima all’erudita introduzione della storica del teatro, Antonia Lezza e poi alla lettura drammaturgica di Lalla Esposito e Roberto Azzurro, misticamente calati nei panni dei due personaggi sulle musiche di Paolo Coletta, riesce a mantenere vivo tutto il contrasto di valutazione circa la breve vicenda terrena che portò Giovanna, da umile contadinella, al ruolo di salvatrice della Francia, sino alla gloria dei Santi. Viaggiando a ritroso nel tempo e pensando agli autori che si sono occupati dell’eroico personaggio nelle loro opere ritroviamo nell’ Enrico VI di Shakespeare la casta eroina cristiana che si trasforma in una pazza dedita all’esaltazione di se stessa. Ancora, per Voltaire, possiamo scorgere una pulzella d’Orleans, svuotata e privata d’ogni alone mistico che diventa pretesto per un discorso ironico nel quale la Santa viene ridotta a proporzioni femminili ed umane. Nella tragedia di Schiller, Giovanna nuovamente vittoriosa, è ricondotta in un clima eroico ridiventando espressione di libertà umana. Su questa linea si mantiene ancora la Giovanna D’Arco di Charles Péguy, mentre, con occhio più partecipe, la volle osservare G.B. Shaw che descrive la pulzella come una donna fragile ed ingenua, casta ed indifesa, vittima e martire di cortigianeschi intrighi ai quali altro non ha da opporre che la sua semplicità. Martirio, fede e desiderio di libertà da ottenersi con qualsiasi mezzo, a parte, giungendo, dunque, alla Giovanna immaginata da Delia Morea, il personaggio che diventa vittima designata dell’istintiva e umana sete di libertà è descritto in maniera indiretta e singolare grazie alla figura di una donna di nome Anna che, avvinta dal peccato per puro istinto di sopravvivenza, nel condurre verso la seduzione carnale lo stesso inquisitore interlocutore, finisce col raggiungere la redenzione nel tentativo di emulare le gesta di quella stessa guerriera e Santa che fino a qualche tempo prima voleva morta. Nel raccontare le sue vicende di giovane scacciata dalla famiglia, le sue paure e fragilità e nel descrivere le gesta e le contemplazioni divine della Santa, Anna porta lo scompiglio nella mente dell’inquisitore che nulla può, tuttavia, per evitare a Giovanna il supplizio del fuoco. Superando per il modo singolare di sfiorare la vita di Giovanna d’Arco le perplessità che hanno da sempre accompagnato sia le vicende dell’eroina sia le sue rappresentazioni teatrali e cinematografiche ed ancora, infondendo ai personaggi della vivandiera Anna e dell’inquisitore dei tratti moderni ed al tempo stesso rigorosi verso la storia, si potrebbe addirittura affermare che proprio come Anouilh con l’Allodola e Brecht con Giovanna dei Macelli, anche la Morea, nel proporre la personale visione dell’eroina riprende magnificamente il quadro della tragedia, restaurando saggiamente i logori i fili di una vicenda pericolosamente in bilico sull’antico contrasto tra purezza e corruzione, umanità ed egoismo.
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