Tutto
è pronto al Teatro Delle Palme per Sebastiano Lo Monaco, l’apprezzato
attore siracusano che da mercoledì 5 novembre sera insieme con Lelia Mangano De
Filippo e la direzione di un regista d’eccezione come Michele
Mirabella, ricorderà il mito Peppino De Filippo con la messinscena
di “Non è vero, ma ci credo…”. Rappresentata per la prima
volta al Teatro Carignano di Torino il 25 ottobre del 1942 con il
titolo di “Gobba a ponente” da quel leggendario sodalizio
artistico chiamato il Teatro Umoristico “I De filippo” (cui
facevano parte anche Eduardo e Titina), al Delle Palme, con la
direzione artistica di Bruno Tabacchini, il testo, proverà a
mostrare tutto il suo vigore drammaturgico insieme ad un’inimitabile
forza ironica. Partendo dal sempre vivo tema della superstizione,
“Non è vero, ma ci credo…” ripropone le manie, le suggestioni
e le pratiche scaramantiche che fanno parte della vita di tutti noi.
Presentando la storia del Commendatore Savastano, un ricco
industriale napoletano prigioniero del demone della superstizione, la
commedia scaltra ed umoristicamente penetrante, affonda la lama della
verità nell’incombente ipocrisia umana. Gervaso, è convinto che
un suo impiegato di nome Belisario Malvurio porti per così dire
“jella”, tanto da assumere al suo posto niente di meno che un
gobbo chiamato Alberto Sammaria. Da quando Alberto è al suo
servizio, tutto procede miracolosamente alla meraviglia ma un
giorno, il neo dipendente porta fortuna, si presenta dal principale
chiedendo le dimissioni in quanto perdutamente innamorato di sua
figlia Rosina. Savastano, che non vuole perdere tanta immunità alle
insidie della vita, si prodiga affinché la figlia, che intanto si
era dichiarata innamorata di un altro giovane, sposi Alberto. Giunti
al matrimonio però, il rimorso di aver offerto la fanciulla ad un
gobbo, attanaglia la coscienza di Gervaso che, addirittura, tenta di
annullare il tutto finchè un inatteso colpo di scena capovolge il
finale. Alberto inaspettatamente si toglie la gobba, che era finta, e
confessa di essere stato sempre lui l’aspirante alla mano di
Rosina. Le cose si aggiustano ed il povero Gervaso, dovendo rivedere
i suoi concetti di superstizione, consigliando al giovane, almeno per
il viaggio di nozze in aereo, di rimettere la gobba, si rifugia nella
frase che fu di Benedetto Croce e che offre il titolo al lavoro “Non
è vero, ma ci credo…”. Con il resto della compagnia completata
da Maria Laura Caselli, Antonio De Rosa, Alfonso Liguori, Vincenzo
Borrino, Margherita Coppola, Carmine Borrino, Luana Pantaleo,
Salvatore Felaco, Sabrina Solimando e Matteo Bianco, una commedia,
come afferma lo stesso regista, che riporta tra il pubblico “gli
intramontabili segreti della commedia dell’arte”.
Quali
sono stati i presupposti che l’hanno portata a diventare il primo
attore non napoletano ad ottenere il permesso di mettere in scena
l’emblematica commedia di Peppino?
“Ho
chiesto- risponde Lo Monaco- alla signora Mangano, vedova di Peppino
De Filippo e depositaria dei diritti di questo lavoro, la possibilità
di cimentarmi con il testo e lei, molto gentilmente, dopo essere
venuta in teatro ad assistere ai miei spettacoli “Il berretto a
sonagli” e “Per non morire di mafia”, ha accettato
consentendomi dopo tanti napoletani, tra cui lo stesso Luigi, figlio
di Peppino e Rizzo, di diventare il primo non partenopeo a portare in
scena la brillante commedia”.
Dopo
il permesso concesso, la signora Mangano De Filippo è pure
diventata la sua compagna di scena?
“Ne
sono davvero felice in quanto per me è un onore avere accanto una
donna di spettacolo come Lelia Mangano De Filippo. Oltre ad essere
stata compagna di scena e di vita del grande maestro è stata pure
interprete accanto Peppino proprio di Non è vero ma ci credo, ossia
di quella che sarebbe diventata l’ultima commedia rappresentata dal
grande De Filippo”.
A
proposito del tema principale della commedia qual è il
suo rapporto con la superstizione?
“Non
sono superstizioso. Sono cattolico, credente e praticante! Tuttavia
posso pure lasciarmi andare a qualche scongiuro e considerato che
sono 38 anni che faccio teatro, mi concedo pure ogni tanto di giocare
a fare il superstizioso. Ho, ad esempio, sempre con me il corno che
mi regalò Carlo Giuffrè, con il quale ho lavorato da ragazzino e
che piu d’una volta, dopo aver assistito ai miei spettacoli, si è
detto fiero di me dinanzi al pubblico. Ed ancora, posseggo il
classico chiodo ricurvo che utilizzo, sia chiaro, sempre per gioco e
mai per malattia come il protagonista della commedia”.
Nonostante
la sua esperienza, le procura qualche emozione particolare essere
protagonista proprio a Napoli di una commedia di Peppino De Filippo?
“Tengo
la faccia tosta! Dopo tanta gavetta con i piu grandi personaggi della
storia del teatro presentati a Napoli tra i teatri Bellini, Diana e
Mercadante, non provo paura a cimentarmi con Peppino anche perchè
confortato dalla stima e dall’affetto che il pubblico
partenopeo mi ha sempre dimostrato e dalla speranza che anche
stavolta mi accetti benevolmente”.
Nato
a Floridia in provincia di Siracusa proprio come Lucia Migliaccio
duchessa di Floridia, tanto vicina alla storia di Napoli in quanto
moglie morganatica di Ferdinando IV di Borbone, i suoi collegamenti
con la città
di partenope non si esauriscono così?
“Il
mio è un cognome che prima di diventare palermitano e poi siracusano
ha una provata discendenza napoletana. Altra curiosità è che
discendo da Francesco Lomonaco il letterato e precursore del
Risorgimento amico di Foscolo e Manzoni, lo stesso che gli dedico
pure una sua poesia”.
Lei
che per vent’anni è stato legato al grande autore e regista
Peppino Patroni Griffi cosa pensa dell’omaggio che il Teatro
Stabile di Napoli sta dedicando alla sua opera a dieci anni dalla
scomparsa?
“Qualcuno
mi ha riferito di questa interessante iniziativa. Credo che Patroni
Griffi meritava di certo l’omaggio che lo Stabile di Napoli ha
voluto tributargli. Per lo stesso mi complimento con il direttore
Luca De Fusco anche se, a dire il vero, trovo singolare, nonostante i
miei due decenni di lavoro con il protagonista della cultura italiana
del secondo ’900, che fino ad oggi nessuno si sia ricordato di me.
Dal 1985 al 2005, anno della sua scomparsa, ho portato in scena ben
cinque commedie con la regia di Patroni Griffi, l’ultima delle
quali mi ha visto impegnato, proprio nel suo ultimo anno di vita, con
la sua visione del lavoro di Miller, Uno sguardo dal ponte.”
Giuseppe Giorgio