giovedì 10 gennaio 2013

Gabriele Russo trasforma il Bellini in una grande arena per “Odissè- In assenza del padre”


di Giuseppe Giorgio 
di Giuseppe Giorgio- Che fine hanno fatto i padri? In quali mari lontani e tempestosi continuano  navigare? Un interrogativo sempre più attuale per una mancanza più che mai inquietante che rimandando al tema della difficoltà dei padri nel sostenere il proprio ruolo ed al conflitto generazionale che ne scaturisce, dopo l’editoria ed  il cinema, trova ulteriore riscontro nell’opera di Gabriele Russo, “Odissè- In assenza del padre”. Ed è proprio per approfondire questo atavico bisogno di riferimento e per interpretare la difficile questione, che il giovane autore e regista, Russo, nel suo lavoro, in scena al Teatro Bellini, evoca, come in una sorta di moderna seduta medianica, l’omerica figura di Telemaco contrapponendola con forte contrasto a quella di Edipo. In sintesi, nella sua messinscena, dove la metafisica è intesa come quella parte della filosofia capace di andare al di là degli elementi contingenti dell'esperienza sensibile per occuparsi degli aspetti  più autentici della realtà, Russo, se da un lato sembra esaminare il conflitto edipico tracciato da Freud, imperniato sul conflitto generazionale tra padri e figli, da un’altra evidenzia quello che è stato pure chiamato conflitto di Telemaco relativo all’attesa dei figli nei riguardi dei padri. Così, ponendosi dinanzi agli spettatori (coinvolti sulla tumultuosa scena di un teatro trasformato in un’arena, dove le poltrone della platea fanno posto alla terra scura ed all’impeto dell’acqua) la difficile domanda: “perché l'essere piuttosto che il nulla?” Russo, lo stesso che ha pure diretto il suo testo con la collaborazione di Marco Manchisi, tra chi domina e chi soccombe, tra prese di coscienza e crolli di potere, fa del mito greco di Ulisse e di suo figlio Telemaco lo spunto per un’Odissea da terzo millennio. Con il temerario e coinvolgente allestimento scenico di Francesco Esposito, i costumi di Chiara Aversano, il disegno luci di Salvatore Palladino ed i movimenti coreografici di Eugenio Dura, il destabilizzante lavoro che vede in scena, oltre a Pippo Cangiano gli altri  attori:  Diletta Acquaviva, Claudio Javier Benegas, Viviana Cangiano, Roberto Capasso, Marco Mario De Notaris, Adriano Falivene, Annarita Ferraro, Stefano Ferraro, Giuseppe Fiscariello, Martina Galletta, Serena Mattace, Marco Palvetti, Elena Pasqualoni, Danilo Rovani, Lorenza Sorino e Luca Varone, conduce tutti in uno spazio senza tempo. Utilizzando la storia del re di Itaca e del suo primogenito, il cui stesso nome significa ( con riferimento al padre) “che combatte lontano” il lavoro di Gabriele Russo - come lui stesso afferma nelle note-  “diventa così la metafora di una generazione, quella contemporanea, priva di punti di riferimento e di padri, come di maestri”.  Sfiorando, semplicemente, i personaggi dell’Odissea e lasciandoli parlare anche in napoletano, tutta la moderna opera di Russo, nonostante i continui riferimenti all’avventura omerica, non si trasforma mai nella rappresentazione della stessa. In conclusione, in “Odissè”, dove tutti sembrano correre senza neppure sapere il motivo ed  luogo da raggiungere, sarà la stessa regina e madre Penelope,  trasformata in una donna qualunque tradita che si rivolge al  figlio parlandogli del padre come di un eroe, a formulare l’interrogativo cardine su cui si basa tutto il lavoro: Ma il padre di Telemaco, era davvero un eroe? E soprattutto, sono eroi i padri dell’attuale generazione? Al Bellini, tra astrattismo teatrale, espressioni da Nuova Drammaturgia, momenti trascendentali e piani concettuali, si replica fino a domenica 11 novembre.

Nessun commento: