domenica 14 marzo 2010

Vite spaccate tra "Sabbie" misteriose ed identità perdute

di Giuseppe Giorgio
Ricco di suggestioni e sfumature umane ed ancora, animato da una sottile ironia dai tratti amari, “Sabbie”, il lavoro di Pippo Cangiano visto all’Auditorium del Teatro Bellini per la rassegna Nuovi Sentieri, con i suoi due tragici protagonisti affidati a Rino Di Martino e Ivano Schiavi, sembra ripercorrere ideologicamente i passi dei due personaggi beckettiani, Estragone e Vladimiro che in aperta campagna, aspettando un certo Godot, senza essere certi né del giorno, né del luogo fissato, provano ad esorcizzare superbamente la perenne incombenza del male e della morte, vivendo in maniera grottesca e drammatica l’attesa di qualcosa che intervenga a cambiare il mondo e le loro esistenze. Carico di compassione e di disperata ricerca d’identità perdute, l’atto unico, grazie anche all’attenta regia di Fortunato Calvino, capace per effetto del suo innato e prolifico spirito di moderno drammaturgo, di esaltare con un buon lavoro di sintesi, tutta la forza espressiva del testo, riesce ad infondere nello spettatore, una lunga serie di emozioni psicologiche e sensoriali. Partendo dal rumore del mare e dalle note di Paolo Coletta che incorniciano la breve ma intensa messinscena, “Sabbie” traccia il doloroso percorso terreno dei due sfortunati protagonisti, gli stessi che partendo da un’infanzia fatta di soprusi subiti e violenze sessuali, sembrano rincorrere la via della redenzione e di una pace interiore capace di guarire le loro anime squarciate. Dopo aver espiato colpe non loro con due vite alla deriva, vissute rispettivamente tra il manicomio ed esperienze omosessuali a pagamento ed ancora, tra la galera, incontri di pugilato truccati e violenze carnali, i due personaggi di “Sabbie” uniti così come si scopre lungo il percorso drammaturgico in maniera indissolubile, percorrono una sorta di sanguinosa e dolorosa Via Crucis. Con una grande ed intensa prova d’attore, Rino Di Martino, evocando antichi spunti vivianei e tratti ruccelliani, insieme a quelle tracce ironiche e sofferenti tipiche degli eroi delle comiche del film muto, dal suo personaggio lascia trasparire tutta l’umanità ed il patimento di chi perseguitato dalle sventure terrene e fisiche giunge ad implorare quella buona morte, definita eutanasia, come unica via di scampo. Convincente e trascinante anche l’altro interprete Ivano Schiavi, che nel ruolo della seconda vittima di una famiglia carnefice, riesce a portare abilmente in scena tutte le sfumature di chi cela dietro la violenza un continuo e devastante martirio interiore. Perfetto quadro di una tragedia sospesa sull’antico contrasto tra la purezza e la corruzione, l’ umanità e l’ egoismo, la vita e la morte, “Sabbie”, ha la valenza di un testo che, a proposito ancora dell’autore Cangiano, conferma la profondità e la bellezza di un teatro colto e pregno di significati. Per effetto di un singolare andamento drammaturgico, grazie al quale fin dall’inizio si avverte l’esistenza di un segreto, che il pubblico condivide con i due protagonisti e che si svelerà solo a poco a poco illuminando le oscurità di due esistenze dalle inconfessabili verità , “Sabbie”, evidenzia le desolazioni interiori dei poveri Giulio ed Eddy incapaci di scappare da quella terribile trappola della loro vita. Come in un crudele martirio i due sofferenti e misteriosi personaggi di “Sabbie” partendo dal loro disperato bisogno d’amore danno forma ad una vicenda satirica e surreale, struggente e delirante che travolge la mente di chi, osserva il calvario ed il sacrificio di esseri spaccati a metà tra corpo e anima. Scritta da Cangiano su invito dello stesso interprete Di Martino, “Sabbie” tra accesi ed introspettivi dialoghi, sembra rappresentare il tremendo dramma di una società malata e contorta. Aspettando, qualcosa che mai arriverà, i due sperduti esseri della storia, incontrandosi per caso o per un preciso ed ingegnoso disegno, su di un’abbandonata spiaggia napoletana carica di detriti e bottiglie di plastica, inseguono con disperazione quello che la vita ha amaramente portato via. In un clima ora violento ed evocativo, ora angosciante e grondante di terribili flash back di un’infanzia bruciata, ora colorito da lampi di sfuggevole ironia, ora funestato da fallimenti interiori, i due artefici di “Sabbie” sembrano riflettersi nei frammenti di uno specchio rotto dal destino dando nel contempo vita al crudele conflitto di due esistenze portate ai margini da una collettività cieca e sorda. Proiettate in un quadro di vita, ambiguo, desolato, drammatico, insanguinato e beffardo, le due creature di “Sabbie”, tra l’enigma di occulte personalità e sfuggevoli atti d’amore, cercano di raggiungere una sublimazione interiore sia essa terrena o appartenente all’altro mondo, pur rimanendo, al tempo stesso, esseri fragili ed incompresi desolatamente esclusi da una società allo sfascio. Per tutti in un’epoca in cui il teatro non è sempre sinonimo di piacere e cultura, “Sabbie” sembra rappresentare l’ultimo tentativo in ordine di tempo, per una forma di spettacolo capace di fare riflettere e provare forti emozioni portando tra il pubblico, con i costumi di Giusi Giustino e l’ intrigante scena di Salvatore Lebano sapientemente illuminata da Salvatore Palladino, tutta la forza di una portentosa sinergia tra autore, regia ed attori in scena.

















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