Carico
di suggestioni, “Uscita di emergenza”, il capolavoro drammaturgico di Manlio
Santanelli, al Piccolo Bellini, nelle mani del regista Pierpaolo Sepe ed in
quelle dei due esaltanti interpreti Rino Di Martino ed Ernesto Mahieux, mette
subito in risalto le sue caratteristiche ricche di sfumature umane. Puntando
sulle prerogative di un testo decisamente impegnativo che usa la leggerezza in
quanto sinonimo di perfezione, al suo debutto, per l’inaugurazione della
stagione della rinnovata Sala bis del Bellini, lo spettacolo dimostra, senza
mezze misure, una surreale fattezza puntando deciso su di un’ironia dai tratti
amari e spesso clowneschi. Portando in
scena il dramma quotidiano dei due protagonisti Cirillo e Pacebbene, gli stessi
che trovano rispettivamente in Mahieux e Di Martino due attori davvero su
misura per qualità, passionalità e coinvolgimento recitativo, “Uscita
d'emergenza”, una delle più celebri commedie di Santanelli, evoca le vicende
umane di due esseri alla deriva, che decidono di isolarsi, in un palazzo
pericolante di un quartiere abbandonato per effetto del bradisismo, pur
rimanendo vittime di amori mancati, lavori lasciati a metà, menzogne, traumi
interiori, paure ed offese. Riportando alla memoria, l’opera più
rappresentativa di Samuel Beckett, lo scrittore irlandese simbolo del “teatro
dell’assurdo”, il lavoro di uno dei capisaldi della nuova drammaturgia europea,
lascia che i personaggi chiave Cirillo e Pecebbene accostandosi ai due
protagonisti della celebre “Aspettando Godot”, Estragone e Vladimiro, aspettino, senza essere certi né del giorno,
né del luogo fissato, qualcosa che intervenga a sovvertite le sorti della loro
amara esistenza. Un testo, quello di
Santanelli, saturo di compassione, di ricerca disperata d’identità perdute, di
attese vane, che nell’evidenziare la fine della vita vissuta come grande
favola, mette in luce tra verità disarmanti
e coscienze sofferenti, la necessità di una rasserenante ed
insostituibile rassegnazione finale. Instabili, emarginati, con il peso di
misteriosi passati ed inconsapevolmente innamorati fino a rasentare la latente
omosessualità, Cirillo e Pacebbene, lottando, con la sola forza della memoria,
contro un’umanità sofferente, provano a recuperare nella loro fatiscente stanza,
eletta a volontaria prigione, un modo meno doloroso per sopportare il loro
smarrimento quotidiano. Muovendosi nella solitudine di quello che potrebbe pure
essere il Rione Terra di Pozzuoli, i protagonisti di “Uscita d’Emergenza”,
rispettivamente ex sagrestano ed ex suggeritore, diventano il feroce ed
esilarante esempio di due vite emarginate alla disperata ricerca di una sublimazione spirituale capace di condurre
alla salvezza. Nelle mani del regista Sepe, lo stesso che nel testo prova a
leggere il grido di dolore di chi non riesce più ad amare la comunità e nulla
gli riesce per combattere il degrado fino ad attendere inerme la fine, la geniale
commedia di colui che meglio di tutti riesce ad illuminare le oscurità di
esistenze allo sbando, sembra stagliarsi come una perla del teatro contemporaneo,
offrendo ai due stessi protagonisti, la possibilità di plasmare le forme di uomini,
stravaganti, buffi, misteriosi e vittime di antiche desolazioni. Incapaci di
scappare da quella terribile trappola fatta di quattro pareti pericolanti che tuttavia
sembra rappresentare il solo rifugio e motivo di essere, Cirillo e Pacebbene,
nei corpi e nelle anime di Di Martino e Mahieux, tra schermaglie quotidiane,
romantici e trascinanti flashback, identità nascoste, gatti randagi e momenti
di irresistibile comicità intrisa di amarezza, provano a compiere la loro Via
Crucis fatta di beffe e solitudine. E quando alla fine, i loro corpi, così come
le loro interiori miserie, rimarranno schiacciati dall’inesorabile forza di un
realtà immutabile, tutto sembrerà compiuto senza la possibilità di alcuna
“Uscita d’emergenza”. Con le belle scene ed i costumi di Tonino Di Ronza ed il
disegno luci di Salvatore Palladino, al Piccolo Bellini si replica fino a
domenica.
Giuseppe Giorgio
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