venerdì 19 aprile 2013

Mariano Rigillo e la grande denuncia sociale di Arthur Miller con "Erano tutti miei figli"


di Giuseppe Giorgio
NAPOLI- Ricco di suggestioni e sfumature umane dai tratti amari e taglienti, carico di compassione e di disperata ricerca d’identità perdute, “Erano tutti miei figli”, il primo grande successo teatrale dello scrittore americano Arthur Miller, ora in scena al teatro Mercadante con Mariano Rigillo, sembra ancora una volta riproporre al pubblico il perfetto quadro di una tragedia senza tempo sospesa sull’antico contrasto tra la purezza e la corruzione, l’ umanità e l’ egoismo, la vita e la morte.  Nel rappresentare il  tremendo dramma di una società malata in un clima, ambiguo, desolato, drammatico, insanguinato e beffardo, al suo debutto napoletano, il lavoro mette subito in luce la forza di una grande sinergia tra  regia ed attori. Diretto da Giuseppe Dipasquale che ha lavorato sulla traduzione di Masolino D’Amico, Rigillo nei panni del protagonista Joe Keller,  un affermato e ricco imprenditore che durante la seconda guerra mondiale, da poco terminata, ha tratto illeciti profitti dalla vendita di pezzi “difettosi” destinati all’aeronautica militare, costati la vita a 21 piloti, porta in scena, alla sua maniera, la grande denuncia umana e sociale di Miller contro quella civiltà che partorisce personaggi senza scrupoli e soprattutto contro quella società che accetta di convivere con essi senza nulla fare. Nel provare a raggiungere, proprio come nella tragedia greca, una sorta di catarsi finale, nell’edizione di “Erano tutti miei figli” vista al Mercadante,  quella ricerca di purificazione dei personaggi della commedia s’intreccia con la loro terribile storia. Partendo dall’arresto di Keller  per fornitura di materiale aereo non conforme alle norme e dal suo subdolo scagionarsi a discapito del socio che finisce da solo in galera, si giunge ad una altrettanto terribile vicenda parallela dove una dantesca legge del contrappasso sembra affermare che la pena inflitta deve richiamare necessariamente la colpa commessa, per analogia o per contrasto. Ed è così che mentre lo stesso Keller e la sua famiglia devono vedersela con il dramma della scomparsa in guerra di un figlio pilota mai ritrovato, la giovane fidanzata del ragazzo a sua volta figlia del socio finito in galera, e della quale si è innamorato anche il fratello Chris Keller al punto di volerla sposare, riporta metodicamente a galla le contraddizioni della vicenda  svelando gli inconfessabili segreti ad essa collegati. Condannando le malefatte della società americana del secondo dopoguerra, la commedia di Arthur Miller che osserva l’impietoso sgretolarsi degli ideali della famiglia, del successo e del denaro, relega così Keller al ruolo di pericolo per il prossimo non tanto per il fatto commesso ma per la sua convinzione riguardo ad una illegalità  necessaria per la società. Con gli altri attori sempre all’altezza dei loro personaggi, tra cui, oltre ad Anna Teresa Rossini nei panni di Kate Keller ed a Ruben Rigillo in quelli del giovane Chris, il pubblico può apprezzare Filippo Brazzaventre, Annalisa Canfora, Barbara Gallo, Enzo Gambino, Giorgio Musumeci e Silvia Siravo, il lavoro con le scene di Antonio Fiorentino, i costumi di Silvia Polidori e le luci di Franco Buzzanca si riconferma come uno di quei grandi classici teatrali del ’900 capaci di rimanere straordinariamente attuali così come l’immutabile ed incontrovertibile ingordigia umana. Rinnegando quella società dell’ipocrisia cercando disperatamente le tracce di quegli antichi ideali fatti di onestà e verità, nell’affondare la sua lama anche in un’attualità non meno pervasa da corruzione e soprusi perpetuati nel nome del dio denaro, la tragedia scritta da Miller, offre a Rigillo ed alla sua compagnia l’opportunità di evidenziare le eterne responsabilità degli uomini sui loro stessi simili. Ben calato nei panni di Keller, uomo senza scrupoli che alla fine deve fare i conti con i propri errori, Mariano Rigillo, fornisce una prova dal grande impatto emozionale, così come Anna Teresa Rossini che nel ruolo della moglie Kate, ben delinea la latente follia di una mamma che pur sapendo continua a non rassegnarsi. Raffigurando al meglio la coscienza malata dei protagonisti ed esaltando la moderna drammaticità del testo dove a scontrarsi sono gli ideali della purezza e quelli del benessere, “Erano tutti miei figli” al Mercadante, emoziona e convince invitando tutti, tra personaggi ambigui ed ipocriti, a rinnegare quel sistema di vita che spesso ci fagocita privandoci di quei cosiddetti valori della dignità umana. 

Articolo pubblicato sul quotidiano Roma il 19 aprile 2013   

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