domenica 13 novembre 2011

La grande occasione "persa" di Licia Maglietta



di Giuseppe Giorgio
NAPOLI
- A proposito de “La grande occasione”, la commedia a due voci, imperniata su due dei dodici monologhi dello scrittore e drammaturgo inglese Alan Bennett, “Un letto fra le lenticchie” e “La sua grande occasione”, vista al Delle Palme con la napoletana Licia Maglietta, nel duplice ruolo di regista e attrice, affiancata da Nicoletta Maragno, per potere effettuare un’analisi critica, attenta ed imparziale, non si può fare a meno di tenere conto delle tre scuole di pensiero che, al debutto nel teatro di via Vetriera a Chiaia, hanno sensibilmente diviso il pubblico. La prima, quella dei cosiddetti eruditi a tutti i costi che hanno apprezzato il modo di portare in scena i due monologhi ambientati nella cappelletta laterale di una chiesa, nati per la celebre serie televisiva “Talking Heads”, andata in onda nel Regno Unito a partire dalla fine degli anni ’80 per più di dieci anni, ed a cui lo stesso Bennett prese parte come attore. La seconda, professata da coloro che hanno abbandonato anzitempo la sala coprendosi la bocca per gli incipienti sbadigli ed infine, la terza, di appannaggio di quanti, nell’osservare la fine dello spettacolo come una sorta di liberazione, accendendo i telefonini, hanno ad alta voce espresso ai loro interlocutori, e tutti l’hanno sentito, la noia per una serata alla camomilla. Ebbene, a proposito del lavoro interpretato e diretto dalla Maglietta che punta tutto sullo sguardo indagatore di un Bennet intento ad osservare l’eterno scontro tra essere e apparire insieme alla necessita di approvare le convenzioni pur di salvare le apparenze, c’è, sinceramente, da dire che lo stesso non ha certo entusiasmato così come auspicato alla vigilia, tanto meno ha convinto gli spettatori da sempre, soprattutto a Napoli, giudici supremi in teatro, al di là delle inutili dissertazioni da wikipedia del giorno dopo e delle illustri opinioni dalle grandi firme. Dinanzi ad uno spiegamento giornalistico che tra critici e direttori di testata non si vedeva dai tempi delle prime di Eduardo al San Ferdinando, il doppio monologo de “La grande occasione” che vede le due protagoniste non interagire mai tra loro evitando che i rispettivi pensieri si incrocino, si ferma a metà pista lasciando serpeggiare tra la platea una sorta di incomprensione generale. Basata sui racconti di Lesley, improbabile attrice, e Susan, insoddisfatta moglie di un vicario anglicano, la duplice storia parlata, vede l’arrivista Lesley, interpretata da Nicoletta Maragno, attendere imperterrita la grande occasione e la delusa Susan che fu della grande Maggie Smith, oggi impersonata da Licia Maglietta, trovare rifugio nell’alcol fidando su di un’improbabile discrezione collettiva di tutta la Parrocchia. Con una voce, inspiegabilmente blanda, che stenta a superare la decima fila, le due attrici, propongono così, due monologhi paralleli, dove due storie apparentemente lontane finiscono per svelare una serie infinita di punti in comune lasciando scaturire di fatto così come scrive la stessa Maglietta nelle sue note di regia: “ Due confessioni senza un confessore”. Partendo dall’amara ironia tipica della penna di Bennet, il gioco fatto di illusioni ed inganni portato in scena al Delle Palme, vede però le solitudini delle due protagoniste, infrangersi contro l’indifferenza del pubblico. Davanti ad una scenografia che riproduce in modo fin troppo essenziale la cappella di una chiesa, a cospetto della battuta finale di Susan che accusa Dio di cattivo gusto e di fronte alla confessione Leslye che esprime la sua voglia di celebrità a due enormi piedi bianchi troncati al polpaccio appartenenti ad un probabile Puttino o Gesù Bambino che pendono dall’alto, “La grande occasione” dell’attrice del David per “Pane e Tulipani”, sembra proprio “mancata”. Con il gioco tragicomico di Bennet che risulta pesante e cupo, con una regia che non sostiene la parte narrativa ed ancora, con un’interpretazione della Maglietta dai tempi lunghi e distaccati e dalle noiose e disperate controscene, lo spettacolo che prova a trovare giovamento nella più vivace, sia pure poco auscultabile oratoria della Maragno, rimanda tutti velocemente a casa dopo flebili applausi di cortesia.

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