giovedì 25 aprile 2013

Con Monica Guerritore, al Teatro Diana, rivive il mito di Oriana Fallaci

Monica Guerritore

di Giuseppe Giorgio
NAPOLI-“La vita ha quattro sensi: amare, soffrire, lottare e vincere. Chi ama soffre, chi soffre lotta, chi lotta vince. Ama molto, soffri poco, lotta tanto, vinci sempre”. E’ con questa celebre affermazione di Oriana Fallaci fissa nella mente, che al Teatro Diana, alla prima di “Mi chiedete di parlare”, lo spettacolo ispirato alla vita della scrittrice, giornalista e politica fiorentina, scritto, diretto ed interpretato da Monica Guerritore, l’aria respirata sembra davvero quella americana dell’Actor Studio, la famosa scuola di recitazione fondata a New York dal regista  Kazan  che dal 1950 con la direzione artistica di Strasberg si identificò con il metodo Stanislavskij, basato sulla totale immedesimazione dell’attore nel personaggio. Una premessa dovuta questa, perché,  ripercorrendo alla sua maniera alcune tappe della vita professionale e privata della Fallaci e catapultando il pubblico nella solitudine della sua casa newyorkese, quando la stessa è ormai priva della mitica presenza corporale ma non certo della sua essenza, Monica Guerritore, con una grande capacità di identificazione con il personaggio, sembra confermare quel topos letterario della discesa agli inferi che nei millenni ha visto, a turno, Orfeo, Ulisse, Enea e Dante, varcare la soglia ultraterrena. Oltrepassando la soglia della vita per incontrare colei che meglio di tutti seppe denunciare la decadenza della civiltà occidentale, la Guerritore lascia, uno alla volta, materializzare in scena quei personaggi legati alla vita della cronista di guerra, attraverso uno spazio escluso dal mondo, orientandoli verso la violenta e dolorosa ricerca di quello spiraglio di luce capace di condurre diritto alla civiltà ed al chiarore di una società priva di piaghe ed emarginazioni. Nel raccontare la veglia terrena di una Fallaci, in attesa di una morte che non volle mostrare al prossimo “non guardatemi morire” e di una giornalista d’assalto, protagonista di un passato ora intriso di disperazioni, ora di grida soffocate, ora di guerre e sofferenze ancora vive, che adombrano il presente e che animano le coscienze, la Guerritore, nel breve arco di tempo di cinquanta minuti, mostra intatte le inconfessabili interiorità di una donna che scelse di affrontare con coraggio una natura non  amica e di vivere sempre a discapito di tutto e di tutti, compreso se stessa. Partendo dalle vicende personali ed umane della prima donna italiana ad essere inviata al fronte e puntando sulla forza dei suoi stessi scritti, fusi con quelli propri e con quelli di Bergson, ValeryCixous, la Guerritore si sofferma pure, lieve e decisa, sulla storia d’amore della scrittrice con Alexandros Panagoulis, protagonista del suo famoso libro  “Un uomo”,  che  oltre a rendere il rivoluzionario greco celebre in tutto il mondo come simbolo della resistenza ai regimi autoritari,  lo trasformò, nel contempo, in una sorta  di proiezione al maschile di se stessa. Raccontando, di interviste celebri, missioni di guerra,  sfide, amori, e di quella morte beffarda che alla fine sconfisse il corpo ma non la mente di una Fallaci più vittima della società dell’immagine che di quel terribile cancro ai polmoni da lei chiamato “alieno”, il monologo della Guerritore, sostenuta in scena da un’eccellente Lucilla Mininno e dalla voce fuori campo di Emilia Costantini,  prova ad esorcizzare quella globalizzata perdita dei valori umani insieme a quella decadenza dell’identità di massa procurata dalle occulte manipolazioni di una civiltà minata alla radice. Divisa tra ideali, realtà, crudeltà e  genialità, la Fallaci  vista dalla  Guerritore sembra elevare anche da morta la sua protesta per un mondo dove il bene continua a soccombere dinanzi al male. Con una prova d’attrice che ricorda persino, durante l’evocazione dei terribili momenti dell’11 settembre, l’emozionante tecnica del “tableaux vivant” la stessa che sembra porre dinanzi agli occhi degli spettatori, la “Passione” di un Cristo dal soffocato grido in attesa di una liberatoria deposizione,  “Mi chiedete di parlare”, prova ad illuminare i volti di vittime senza tempo. Scavando con le unghie nel fondo di una terra sofferente, la Guerritore, ma meglio sarebbe dire la stessa Fallaci, in scena riflette alla perfezione gli stati d’animo, i disagi e le denunce di una donna ed una professionista della comunicazione davvero straordinaria, intrigando e commuovendo per il modo diretto e singolare di far rivivere al pubblico, in maniera reale, le sensazioni e gli umori di un essere femminile alla perenne ricerca della verità. Esorcizzando, a modo suo, persino l’imminente fine terrena, lo “scrittore” così come è scritto sulla lapide della sua tomba, reincarnato-a nel corpo della Guerritore, rivive in maniera quasi fantastica l’inquietante attesa di qualcosa che intervenga a cambiare il mondo. E così, con le mirabolanti  gesta  di un teatro che  attraverso il mito di una Fallaci volontariamente isolatasi a Manhattan,  grida il suo disappunto contro la degenerazione umana, la tragica ed al tempo stesso introspettiva  messinscena di Monica Guerritore, evidenzia la tagliente, riflessiva e forte volontà di una donna che può certamente essere definita come una grande eroina del XXI secolo. Riproponendo in maniera diretta, drammatica e storicamente erudita, i momenti delle lotte della Fallaci e quelli più intimistici di donna, la Guerritore si fa portatrice dei  simboli di un’insopportabile e pur accettata sofferenza interiore. Attraverso i flash back della vita di una scrittrice capace di mettere alla berlina le deformazioni della civiltà moderna, l’intenso lavoro della Guerritore sembra trasferire tra la platea tutte le sfumature di chi cela dietro la forza esteriore un continuo e devastante martirio interiore. Perfetto quadro di un’esistenza sospesa sull’antico contrasto tra l’ umanità e l’ egoismo, la vita e la morte, lo “studio” sulla Fallaci, ora violento ed evocativo,  ora grondante di angoscia e coloriti lampi umani, si tramuta in un quadro di vita che per tutti, in un’epoca in cui il teatro non è sempre sinonimo di piacere e cultura, sembra rappresentare un riuscito tentativo per un convincente spettacolo capace anche di fare riflettere, provare emozioni e dire grazie alla celebre scrittrice italiana per tutto ciò che ha lasciato al mondo. 










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