venerdì 14 giugno 2013

La maschera di Benedetto Casillo e l'audacia di Pierpaolo Sepe per l'eduardiano "Sik Sik l'Artefice Magico"

Benedetto Casillo in Sik Sik l'artefice magico 
di Giuseppe Giorgio
NAPOLI- Nel circo, si chiama clown bianco. Rappresenta l’eleganza quasi snob e come diceva Fellini a proposito del colore “la grazia, l’armonia, l’intelligenza, la lucidità”. In teatro, invece, dopo aver visto per il “Napoli Teatro Festival” il debutto dell’eduardiana “Sik Sik, l’artefice magico” per la regia di Pierpaolo Sepe, lo stesso personaggio, potrebbe chiamarsi semplicemente Benedetto Casillo. E’ proprio lui, infatti, con l’umiltà della commedia dell’arte nel sangue e la sapienza di chi lavora in palcoscenico per fare in modo che la reazione del pubblico sia frutto di un preciso processo, ad infondere alla creatura forse più cara allo stesso autore, il prestigiatore Sik Sik, una passionalità divisa tra la disciplina della scena e l’interiorità di chi con naturalezza sembra devolvere al pubblico sotto forma di emozioni quanto raccolto in lunghi anni di gavetta. Presentata al Mercadante sulla scia dalla stesura  originaria scritta da Eduardo nel 1929, lo stesso che celandosi ancora sotto lo pseudonimo di Tricot, come coautore, pensò bene di incastonare il suo sketch nella rivista “Pulcinella principe in sogno” di Mario Mangini in scena al teatro Nuovo, “Sik Sik, l’artefice magico” e la visione del regista Sepe che riproporrà lo spettacolo  dapprima al “Benevento Città Spettacolo” e poi al teatro Nuovo, stavolta, partendo dall’ultima versione proposta al San Ferdinando nel 1979 e dalle indicazioni scaturite da un raro filmato realizzato all’epoca dal critico teatrale Giulio Baffi, pongono subito lo spettatore dinanzi ad una sorta di imponente monumento. Una specie di testimonianza marmorea di antiche vestigia teatrali capace di provocare, tra soggettive interpretazioni e personali letture, dapprima un effetto paralizzante e poi il desiderio di ribellione verso quel timore reverenziale procurato da un commediografo che più ha affondato la sua attenzione nel mondo napoletano più la sua lingua è diventata universale. “Le mie commedie - disse Eduardo spiegando come scrisse Sik Sik- nascono sempre da un’osservazione diretta da un fatto di cronaca, dallo studio di un personaggio incontrato magari per strada…Poi quando comincio a scrivere viene tutto di getto, con facilità; ogni cosa è stata prevista, ogni piccolo pretesto già collocato al suo posto, ogni appiglio per qualsiasi azione successiva già considerato. Ecco perché, ad esempio, potei scrivere l’atto unico di Sik Sik, il povero prestigiatore che fu il più fortunato tra i miei primi personaggi, mentre viaggiavo in treno da Roma a Napoli nel 1929. Ero in un vagone di terza classe e avevo portato con me per colazione, un cartoccio di pane, formaggio e pere: sulla carta di quel cartoccio, cominciai appunto a far vivere Sik Sik”. Un nascita, dunque, quella dell’artefice magico, dalle umili e spontanee origini e pur tuttavia, una venuta al mondo che ha consegnato ai posteri un personaggio capace di rimanere legato ai grandi temi pirandelliani e di ribadire negli anni quello stesso concetto espresso da Eduardo per la sua commedia “La Grande Magia”, attraverso le pagine  de  Il Dramma” del 15, marzo 1950, secondo il quale “la vita è un gioco, e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede… e che ogni destino è legato ad altri destini in un gran gioco eterno del quale non ci è dato scorgere se non particolari irrilevanti”. Ed è proprio rifacendosi a quel difficile rapporto tra “realtà, vita ed illusione” che la messinscena firmata Pierpaolo Sepe consegna al pubblico uno spettacolo lampo di 35 minuti capace di spaziare nel tempo pur rimanendo in perfetto equilibrio tra la tradizione e l’avanguardia. Con Benedetto Casillo che bene dimostra in scena con quella leggerezza tipica della perfezione come un artista definito comico possa anche fare commuovere alla pari del più affermato attore drammatico, il Sik Sik visto al Mercadante, piace soprattutto per il coraggio di sperimentare con occhi più indagatori e meno timorati il funzionamento di un congegno così straordinariamente perfetto nella struttura drammaturgica, nell’ umorismo e nel ritmo narrativo. Ed è anche per questa stessa spregiudicatezza di direzione tesa al confronto tra il protagonista Sik Sik affidato a Casillo, con attori diametralmente opposti per genere ed indole, che Sepe sembra indicare un nuova strada capace di condurre verso un Eduardo più nuovo ma al tempo stesso inequivocabilmente statutario. Ecco perché, discussioni e nostalgie a parte, e senza dimenticare le parole di Gennaro Magliulo, il quale, a proposito dell’interpretazione dei fratelli De Filippo proprio nella stessa commedia, scrisse “E’ la scoperta di un prisma teatrale a tre facce: ognuna ha la propria, insieme è la piramide dell’umorismo”, il regista sembra volutamente porre a confronto nei vari ruoli attori dalle evidenti differenze caratteriali, scegliendo: un Roberto Del Gaudio che ricordando le sue esperienze da leader dei Virtuosi di San Martino nei panni di Nicola, il complice ritardatario, evidenzia gli stereotipi di una Napoli camorristica, un Marco Manchisi che nel ruolo di Rafele, il palo rimediato all’ultimo momento, sembra identificarsi con il fanfarone filibustiere di provincia ed una Aida Talliente che pur disorientando per il suo accento friulano, nelle vesti di Giorgetta, la moglie incinta di Sik Sik, sottolinea a modo suo quella audace voglia di cambiamento e di innovazione di Sepe. Con un tocco di surreale che vede, a parte il pollastro, i tipici oggetti di scena come i bicchieri, la cassa col trucco, il catenaccio finto e il colombo, diventare  solo simboli invisibili ed abbracciando quel senso di teatro nel teatro, con un sottile dramma intriso di metateatralità intesa come pretesto di riflessione sulle finzioni della realtà sensibile, Sepe, sembra lasciare volutamente al pubblico lo spazio per un bisogno di meditazione. Ribadendo l’umore di un autore come Eduardo in grado di fare della tragedia quotidiana il suo punto di riferimento umano e teatrale, il lavoro “Sik Sik” in attesa della sua metamorfosi per l’inaugurazione di “Benevento Città Spettacolo” regala al pubblico una visione eduardiana sia pure lontana dal mito al tempo stesso lontana dalla spesso banale consuetudine. Con le scene di Francesco Ghisu che pensando a quella stessa scatola del truffaldino professor Otto Marvuglia protagonista de “La Grande Magia”  sembrano racchiudere personaggi e luoghi in una grande scatola magica che si apre, si chiude e si trasforma, ed ancora, con i costumi di Annapaola Brancia D’Apricena e le luci di Cesare Accetta, Sik Sik, ricordando i suoi successi di ieri con i tre De Filippo, al Kursaal, al Valle, all’Olimpia, all’Eliseo, al Quirino, all’Argentina, le sue versioni televisive con la partecipazione di Ugo D’Alessio ed Angela Pagano e quelle rappresentazioni di qualche anno fa con Silvio Orlando e Carlo Cecchi, compie ancora i suoi magici artifici tra cui, tornando al vero protagonista in scena, quello di far apparire tra i suoi veli e fazzoletti  la grande maschera di un attore come Casillo attraverso la quale è possibile scorgere la mimica di chi possiede il dono di far piangere e ridere con ammirevole stile ed inconfondibile bravura. 

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