domenica 23 giugno 2013

Il "Circo Equestre Sgueglia" ed il Viviani metafisico di Alfredo Arias

di Giuseppe Giorgio

NAPOLI- Al primo debutto di “Circo Equestre Sgueglia” avvenuto al Teatro Bellini di Napoli il 29 novembre del 1922, l’importante prima fu annunciata su “Il Giorno”  con queste roboanti parole: “Alle ore 21.15 andrà, finalmente in iscena stasera la nuova commedia in tre atti, prosa e musica di Raffaele Viviani ‘Circo Equestre Sgueglia’. Il Viviani vi sosterrà  la parte del protagonista che è il clown don Samuele. Lo spettacolo sfarzosamente allestito e brillantemente eseguito sotto l’abile sua concertazione e direzione è destinato al più clamoroso successo. Il teatro sarà rigurgitante!” Ed è forse, proprio sulla spinta dell’entusiasmo di questo antico lancio pubblicitario, che per il ritorno in teatro della commedia presentata al San Ferdinando per il “Napoli Teatro Festival” si sono scelti ancora una volta i clamori delle grandi occasioni insieme all’altisonante definizione di “prima mondiale”. Fortuna meritata, quindi, per una commedia che sia pure già alla prima rappresentazione divise il pubblico e la critica per la scelta dell’autore di allontanarsi dal suo consueto repertorio pittoresco e tipicamente napoletano, oggi sembra ritrovare, in barba alla stessa “vivianea” voglia di “Campanilismo” espressa nella celebre ed omonima poesia, in un argentino come lo straordinario Alfredo Arias, un regista capace di esaltare, senza timore alcuno, il grande intreccio del primo lavoro di Viviani in tre atti  volutamente in bilico tra il dramma umano e la metafisica ironia. Con Massimiliano Gallo  che nei panni del clown Samuele, gli stessi che furono di Viviani, offre unendo arte e mestiere una prova davvero esaltante riuscendo persino a raggiungere quegli stilemi tanto cari a Fellini ed a cesellare le forme d’una creatura di ingenua purezza che lotta invano contro le malvagità del mondo ed ancora, con Monica Nappo che nelle vesti di Zenobia , le stesse che appartennero a Luisella Viviani, offre un corpo ed un’anima alla drammatica figura di una donna vittima designata del suo smisurato e non ricambiato amore per Roberto il marito cavallerizzo, tutto il lavoro, al di là delle flebili prese di posizione degli irriducibili nostalgici delle macchiette, del Varietà, del buffo “Fifì Rino”, di Mimì di Montemurro e del “Guappo nnammurato”, riesce, occupandosi di quegli aspetti più autentici e fondamentali della realtà, ad esprimere una rara forza espressiva fatta di personaggi veri e drammi originali.  Dal suo amore per il circo e dal personale legame interiore con il mondo così bene descritto da Viviani, il regista Arias, proprio come un prestidigitatore, tira fuori dal suo cilindro le emozioni di coloro che, come i personaggi del circo di don Ciccio Sgueglia, ovvero come i componenti di una famiglia provvisoria di cui ognuno è nemico dell’altro, nascondono le lacrime dietro le risate e la fragilità di una vita ingrata dietro la speranza di un domani migliore.  Esaltando le capacità di Viviani e ponendo l’accento su quegli stessi suoi personaggi capaci addirittura di confondersi con i moderni tipi di beckettiana essenza, eternamente in attesa di qualcosa che intervenga a cambiare il mondo ed in lotta con una vita senza senso preda dell’incomunicabilità, Arias, sembra riscoprire, come si legge nelle sue stesse note, “la meccanica delle lacrime” e “l’arte di far piangere”. Così, assistendo dall’esterno alle vicissitudini umane dei protagonisti del circo Sgueglia,  intrise di tradimenti, passioni morbose, vizi,  invidie e malefatte e solo intravedendo lo spettacolo vero e proprio sempre seminascosto dal tendone montato su di una metaforica Piazza Mercato ed i cui numeri si possono soltanto intuire attraverso le musiche introduttive, la messinscena firmata Arias, utilizzando una sorta di cantastorie in frac, interpretato da Mauro Gioia che tra canzoni come “Cuncettì…Cuncettì”, “Tarantella Segreta” e “’O guappo nnamurato”, descrive l’evolversi della vicenda, conduce tutti all’intimistico epilogo. Ovvero, a quando, un anno dopo, incontrandosi in Piazza del Carmine, già scenario di famosi supplizi, i veri protagonisti di tutta la storia, Samuele e Zenobia, come  accidentati clown smarriti e feriti che si ritrovano su di una  strada che potrebbe essere anche quella della redenzione, cantano insieme agli altri sventurati compagni circensi apparsi solo come fantasmi di un passato ingrato, “Canzone ’e sott’’o carcere”. Con gli altri interpreti, Francesco Di Leva, Tonino Taiuti, Gennaro Di Biase “en travesti” nei panni di “Bettina”, Giovanna Giuliani, Carmine Borrino, Autilia Ranieri, Lorena Cacciatore e Marco Palumbo che agiscono alla perfezione sulle istruzioni di Arias, con le musiche dal vivo arrangiate da Pasquale Catalano, le coreografie di Luigi Neri,  le scene di Sergio Tramonti ed i costumi di Maurizio Millenotti, il “Circo Equestre Sgueglia” convince con la testimonianza di tutti coloro che a fine spettacolo applaudono lungamente acclamando a viva voce attori e regista.

Articolo pubblicato sul quotidiano Roma di domenica 23 giugno 2013 

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